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CONTATTALa diagnosi di emofilia è fondata sull’analisi delle manifestazioni emorragiche, su una valutazione anamnestica considerando i casi di familiarità e sui dati di laboratorio. Tipicamente se andiamo a valutare le manifestazioni emorragiche nei vari difetti emorragici congeniti, l’emofilia si caratterizza rispetto agli altri deficit di fattori per una maggiore prevalenza di sintomi a carico dell’apparato osteoarticolare muscolare, nello specifico per gli emartri (emorragie all’ interno delle articolazioni) e per gli ematomi muscolari.
Se andiamo, però, ad analizzare quali sono le manifestazioni emorragiche che compaiono nei primi mesi di vita dei bambini con emofilia e che sono ovviamente quelli più importanti in quanto portano alla valutazione diagnostica, prevalgono le emorragie a carico delle mucose e dei tessuti molli, mentre gli emartri compaiono un po’ più tardivamente intorno a un anno di vita quando il bambino comincia la sua mobilità attiva e pone sotto carico le articolazioni. Possono ovviamente comparire anche altre tipologie di emorragie fra cui la temibile emorragia intracranica che si manifesta in circa il 10% dei pazienti in genere nei primi mesi di vita e talora associata a traumi in particolare legati al parto.
Per quanto riguarda i dati di laboratorio l’allungamento dell’APTT è il test chiave per il sospetto diagnostico; da questo test deriva poi l’indagine di secondo livello, il dosaggio di fattore VIII e di fattore IX che confermerà il tipo di emofilia A o B a seconda del fattore ridotto. Un approfondimento diagnostico con indagine molecolare e la ricerca della mutazione del fattore VIII e del fattore IX causativa potrà rappresentare una conferma diagnostica in alcuni casi ma in genere l’indagine genetica non è quella che porta alla diagnosi.
Per una corretta diagnosi di emofilia A, bisogna effettuare delle ulteriori indagini: nello specifico bisogna escludere la Malattia di Von Willebrand (VWF) che per la concomitante riduzione del fattore VWF determina anche la riduzione del fattore VIII. Bisogna tener conto della variabilità dei livelli di fattore VIII legati all’emogruppo AB0 (soggetti di gruppo 0 hanno livelli di fattore VIII ridotti anche del 30% rispetto ai soggetti di gruppo non 0) e bisogna considerare che esistono dei portatori di polimorfismi del gene del fattore VIII che determinano una modica riduzione dei livelli circolanti della proteina.
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